
“Ero figlia di separazioni, parentele false o taciute, distanze. Non sapevo più da chi provenivo”.
“L’Arminuta” di Donatella Pietrantonio, vincitrice del Premio Campiello 2017 ed edito da Einaudi è un libro che mi ha toccato il cuore.
Incuriosita dal titolo, del quale ho compreso il significato durante la lettura e dal volto in bianco e nero, della donna in copertina, ho iniziato questo romanzo e sono stata rapita dalla storia intensa, coinvolgente.
Un piccolo “gioiello” letterario, la cui protagonista è un’adolescente, che dopo aver trascorso un’infanzia di agi e comodità, scopre in un pomeriggio d’agosto, che la sua vera famiglia non è quella con cui ha vissuto fino a quel momento. I suoi genitori biologici, sono due persone molto povere che per problemi economici l’hanno data in affidamento ad una parente facoltosa senza figli.
“A tredici anni non conoscevo più l’altra mia madre. Salivo a fatica le scale di casa sua con una valigia scomoda e una borsa piena di scarpe confuse. Sul pianerottolo mi ha accolto l’odore di fritto recente e un’attesa. La porta non voleva aprirsi, qualcuno dall’interno la scuoteva senza parole ed armeggiava con la serratura. Ho guardato un ragno dimenarsi nel vuoto, appeso all’estremità del suo filo.”
Improvvisamente e senza spiegazioni da parte degli adulti, l’Arminuta, ovvero “la persona che è tornata”, in dialetto abruzzese, perde i suoi punti di riferimento: la sua casa, la sua migliore amica, la scuola, per ritrovarsi in un mondo di miseria, dove il cibo è poco e le bocche da sfamare tante, le stanze piccole e maleodoranti ed i gesti di affetto assenti.
Una descrizione stupenda di come la vita possa cambiare da un momento all’altro e di come si possa reagire alle avversità con determinazione e coraggio e la consapevolezza che la felicità non è data dalla ricchezza e dalle apparenze, ma dagli affetti sinceri e dalla onestà.
L’Arminuta viene abbandonata e resta orfana due volte di madri viventi, è delusa ed incredula nel scoprire che la donna con cui ha vissuto felicemente, l’ha restituita come un pacco, dopo la nascita di un figlio naturale e fatica a creare un legame con colei che l’ha generata:
“Non l’ho mai chiamata, per anni. Da quando le sono stata restituita, la parola mamma si è annidata nella mia gola come un rospo che non è più saltato fuori. Se dovevo rivolgermi a lei con urgenza, cercavo di catturarne l’attenzione in modi diversi.”
Il difficile tema della maternità, viene trattato dall’autrice con grande abilità ed equilibrio. La Pietrantonio con empatia e senza cadere nella banalità, grazie ad una scrittura elegante e a tratti ruvida, ha maestria nell’affrontare un argomento doloroso e delicato, che ci riporta alle favole dei fratelli Grimm, basti pensare ad Hansel e Gretel e all’ Abruzzo degli anni Settanta, in cui per alcune famiglie indigenti, dell’entroterra rurale, era una consuetudine frequente, quella di dare in adozione i figli appena nati.
La protagonista ricerca una verità difficile da comprendere e da accettare e con una grande forza d’animo impara e ricostruisce il suo percorso personale dalla sofferenza. Affronta le sfide quotidiane e crea un legame solido e stretto con la sorella Adriana, che con la sua presenza, la sua semplicità ed il suo pragmatismo la salva e l’aiuta a superare un evento drammatico come l’abbandono.
Tanto struggimento, dolore, ma anche tanta dignità e un grande insegnamento: le donne riescono in tante occasioni a trovare la “forza luminosa “che le fa andare avanti.
Questo libro lo consiglio a tutti una storia bellissima e allo stesso tempo molto triste
L’ho letto l’anno scorso in vacanza, e ancora, l’ho perfettamente impresso nella mente. Un libro 📖 toccante e malinconico!!!