
“Buio” è l’opera con la quale l’autrice polacca Anna Kantoch ha vinto il prestigioso premio Zulawski e a mio avviso si è meritata la vittoria perché la sua scrittura è brillante, stilosa e raffinata. Non solo, la trama del libro è avvincente e ricorda quella dei classici dell’orrore di fine Ottocento.
Buio è la località nella quale la protagonista trascorre la sua infanzia insieme alla famiglia, un luogo isolato e immerso fra boschi e natura. Ad esso sono legati il passato e i ricordi. In contrapposizione a Buio è Varsavia, la capitale, il simbolo del presente e dei cambiamenti avvenuti. E proprio qui si trova la donna la quale, dopo l’uscita dal sanatorio, narra la sua storia e il suo desiderio di dimenticare il passato.
Corre l’anno 1935 e nonostante gli sforzi la protagonista senza nome è combattuta tra reale ed irreale, sogno e concretezza, voci e silenzi. La domanda che si pone, frastornata da un turbinio di pensieri inquietanti è come fare a ritrovare se stessa e un po’ di pace.
La sua anima tormentata è il frutto di una sofferenza ancora viva e di un segreto mai svelato.
Ritornare indietro per andare avanti? Scoprire cosa sia realmente accaduto tanti anni prima a Buio, quando la famosa attrice Jadwiga Rathe è scomparsa? Quante domande e confusione nella mente della narratrice che sceglie la prima persona per descrivere una vicenda sconvolgente. Gli altri personaggi passano in secondo piano, fanno da cornice: i genitori e i fratelli, servono per sviluppare il tema del rapporto famigliare, ma l’attenzione è rivolta non tanto a quest’ultimo, quanto ai risvolti che esso ha avuto sulla protagonista.
“Ho sempre saputo che prima o poi sarei tornata a Buio. Rivivo quell’istante come se fosse appena successo. Eccomi per strada, in campagna, accanto all’automobile che borbotta piano, osservo la porzione di terra umida e la capsula bianca sotto l’orizzonte sottile degli alberi… Tremo per il vento e il freddo mentre assaporo questo istante, prima di abbandonarmi all’abbraccio di Buio”.
Kantoch ci spaventa, ci confonde, ci trascina nel mondo pericoloso dei recessi della memoria e crea un racconto da togliere il fiato, facendoci rabbrividire perché in fondo tutti noi abbiamo timore dei lati oscuri e di esplorare a fondo il nostro io.
Il “Buio” del titolo assume più significati, non è solo una località, ma è anche lo stato che prova il lettore sfogliando le pagine confrontandosi con argomenti scomodi e destabilizzanti: il disagio psichico, il mistero, l’ambiguità, l’erotismo e il sovrannaturale. Fare l’indicibile non è facile, la donna senza nome ci prova e noi assistiamo a questo percorso spaesati, curiosi e impotenti.
“Buio” non è un libro per tutti. Lo suggerisco e lo consiglio ai lettori più audaci attratti dall’oscurità e a coloro che desiderano conoscere una bella voce della letteratura polacca, purtroppo ancora poco nota in Italia. La capacità di Kantoch di creare una miscellanea di tanti generi, mistery, fantascienza, realismo magico, ecc… fanno di lei una scrittrice innovativa e fuori dagli schemi.
Provare per credere!
