
“A sua immagine” di Jêrôme Ferrari, tradotto da Alberto Bracci Testasecca e/o edizioni mi ha colpita subito per la splendida copertina e per la trama. Si tratta di un romanzo che parla di una forma d’arte a me cara: la fotografia.
A mio avviso, alcuni fotografi hanno creato dei veri e propri capolavori per i nostri occhi e con i loro stili e il loro lavoro hanno contribuito a farci conoscere meglio la storia e la cultura facendoci vedere il mondo che ci circonda sotto “punti di vista diversi”. Basti pensare a Steve Mc Curry e al suo reportage sull’India, ad Annie Leibovitz e ai suoi ritratti, a Salgado che con le sue immagini ha denunciato e criticato la condizione umana in differenti aree geografiche. Aggiungo inoltre il grandissimo Franco Fontana, mio concittadino, con la sua continua ricerca nell’ambito dell’espressione astratta del colore.
La protagonista di “A sua immagine” è Antonia una ragazza che vive in un piccolo paese dell’entroterra corso, dove le tradizioni e i solidi legami famigliari hanno una gran importanza.La sua grande passione è la fotografia da quando suo zio prete le ha regalato una macchina fotografica.
“Era ancora in seminario quando regalò ad Antonia, per il suo quattordicesimo compleanno, la prima macchina fotografica che lei avesse mai tenuta in mano…. Da qualche mese la nipote si era appassionata alle foto di famiglia”.
Inizialmente fotografa i suoi genitori, gli amici e i paesaggi poi, con il passare degli anni sente il desiderio di fare di più. Ha voglia di vedere il mondo e di prendere le distanze da un luogo chiuso e maschilista, dove i ruoli maschili e femminili sono ben definiti. I suoi amici d’infanzia sono diventati quasi tutti militanti indipendentisti e tra loro non c’è spazio per una donna.
Antonia decide di partire per Belgrado e di provare a realizzare il suo sogno, diventare una reporter di guerra, per tenere traccia di quello che accade lì e anche per vivere una vita diversa.
Un romanzo d’amore e di morte quello che scrive Ferrari e una bella riflessione sulla fotografia e il suo ruolo. Viene da domandarsi più volte se fissare un’immagine significhi renderla eterna o mortale. Antonia non spiega perché decide di tornare a casa e ci resta il dubbio. Forse non trova risposta al dilemma dei grandi fotografi di riuscire a riscattare la tragedia del conflitto attraverso l’obiettivo.
Antonia corona il suo sogno, ha un’esistenza intensa, ma breve, rinuncia a fotografare la verità e si rende conto che non è necessario andare lontano per trovare violenza, menzogna e fragilità umana perché la sua stessa terra è insanguinata. Con i suoi scatti ha provato a denunciare il male, l’orrore, ma poi è andata oltre perché la fotografia non dice nulla sull’eternità e “si compiace dell’effimero, attesta l’irreversibilità e rimanda tutto a nulla”.